Pier Francesco Zarcone: Russia, Prigozhin non era e non è solo
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Pier Francesco Zarcone: Russia: Prigozhin non era e non è solo

Russia: Prigozhin non era e non è solo, di Pier Francesco Zarcone

Calato il sipario sul primo atto di quella che per ora è una commedia, esiste il margine per qualche riflessione pur restando moltissimi punti oscuri ed elementi che non collimano, fra cui quelli esposti nella nostra precedente comunicazione.

Prigozhin ripara in Bielorussia, dove sicuramente darà una mano, non gratis, a Lukashenko contro cui la Polonia sta addestrando dissidenti bielorussi per creare una Maidan a Minsk; i combattenti Wagner non partecipanti al c.d. golpe saranno contrattualizzati dalla Difesa russa ed i reprobi graziati.

Tutto finito a bliny (frittelle russe) e vodka? Non è detto. Restano ancora incognite le conseguenze per i 15 morti tra i regolari russi, ammazzati dalla Wagner senza che avessero attaccato; l’aspetto tragico della sceneggiata. Se e quando qualcuno pagherà, non sarà certo per vie legali, ma fattuali.

Grande scorno per i governi ed i media occidentali poiché Putin è ancora in sella. Tuttavia, sembra che qualcuno in Occidente cominci a capire che Putin è – se non un moderato – comunque una persona riflessiva e fin troppo ponderata, mentre potrebbe non esserlo affatto il suo successore.

Nella precedente comunicazione del 25 scorso si ipotizzava che un prossimo eventuale tentativo di golpe avrebbe potuto avere la partecipazione di parte delle Forze Armate russe che, se vincenti, avrebbero fatto rimpiangere Putin. Adesso (soddisfazione personale di cui lo scrivente avrebbe fatto a meno) tale possibilità viene evocata da addetti ai lavori col corredo di elementi poco conosciuti da chi non vive in Russia: il diffuso malcontento degli ufficiali, e probabilmente anche dei soldati che stanno combattendo nella c.d. Operazione Militare Speciale.

Tra le cose dette da Prigozhin nelle sue esternazioni dell’altro giorno c’è qualcosa di vero, attestato non soltanto dalla festosità con cui gente di Rostov sul Don ha salutato la partenza dei suoi uomini. Prigozhin – a prescindere dall’essere un personaggio ambiguo e per vari versi detestabile – in questo momento in Russia non è solo nel suo malcontento. Associazioni di ufficiali avevano già espresso le loro critiche ad ampio spettro, prendendo atto del palese fallimento dell’Operazione Militare Speciale, trasformatasi in vera guerra. Un solo esempio, significativo per la sua parte propositiva, equivalente ad un invito alla risovietizzazione della Russia.

Il colonnello Vladimir Vasilievič Kvachkov, del GRU (servizi militari russi), il 20 giugno dell’anno scorso aveva formulato – a nome della Assemblea Generale degli Ufficiali della Russia – un formale appello a Putin, al patriarca Kirill e ad altri alti funzionari, presentando una serie di contenuti interessanti e tutt’altro che campati per aria:

1) essendo iniziata la Terza Guerra Mondiale, niente negoziati col nemico;

2) introduzione della pena di morte e della legge marziale in tutta la Russia e nei territori liberati in Ucraina;

3) creazione di un Comitato di Difesa dello Stato (GKO) con pieni poteri nella conduzione della guerra; mobilitazione parziale per condurre una guerra su più fronti in Ucraina e non solo sul versante del Donbass per raggiungere i confini dell’ex-Unione Sovietica;

4) introduzione di un periodo biennale di servizio militare;

5) ristrutturazione totale del sistema finanziario con nazionalizzazione delle banche e loro sottoposizione al controllo del GKO;

6) cancellazione dei debiti per tutti i combattenti;

7) monopolio di Stato sul commercio estero;

8) divieto di utilizzare valuta estera;

9) confisca delle proprietà dei Paesi della NATO;

10) ritorno delle imprese privatizzate alla proprietà pubblica;

11) crimine di tradimento il rifiuto di collaborare a quanto sopra.

In definitiva, finita la sceneggiata di Prigozhin (indipendentemente da chi l’abbia istigato o spalleggiato), sta di fatto che Putin rischia davvero se il Ministero della Difesa continuasse a fare la guerra coi guanti bianchi, al massimo trasformando in hamburger hills le posizioni ucraine su un fronte statico, invece di riportare rapidamente l’Ucraina all’età della pietra (alla maniera yankee, tanto per capirci). Il prossimo atto potrebbe essere quello finale, per lui. E per noi comincerebbero i guai seri.

Ed ora, per finire, un resoconto senza alcuna pretesa di esaustività. La “marcia su Mosca”, una volta conosciuta nella sua composizione e nei suoi movimenti non dà l’idea di un’improvvisazione dall’oggi al domani: 1.000 fra carri armati, blindati, laciarazzi, camion e veicoli vari, su 4 colonne. La prima, l’apripista, di 350 mezzi, si trovava a Voronezh già dopo le 12,00 del 24 giugno; la seconda, passava alle 5,00 ed era di 375 mezzi; la terza , alle 7,00, era di 100 mezzi; alle 9,00 passava la quarta colonna con 212 mezzi, che giungeva a metà fra Rostov e Mosca. Palesemente non si è trattato di un ammutinamento improvvisato: semplicemente qualcosa non ha funzionato.

Questo qualcosa poteva essere solo l’appoggio istituzionale dai “piani alti”. Ed i golpisti sono rimasti senza ordini non sapendo più che fare. Domanda: perché ha mediato Lukashenko e non una qualche personalità del governo russo? Certo, non era proprio il caso che il mediatore fosse lo stesso Putin. Pare che alle 9,00 Putin abbia telefonato a Lukashenko – che ben conosce Prigozhin – per dirgli della situazione, e da qui è nata la mediazione bielorussa.

Secondo il deputato comunista Denis Andreevič Parfenov, da tutto questo deriverebbe un incalcolabile danno di immagine per la Russia (a prescindere dai rischi per l’enorme arsenale atomico della Federazione se le cose fossero precipitate), con riferimento alla reputazione di Putin come Presidente ed alla pace interna.

Vedi anche: Pier Francesco Zarcone: Il golpe appena cominciato è già finito…