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Pier Francesco Zarcone: Il ricorrente problema etico dell’Antico Testamento

Pier Francesco Zarcone:
Il ricorrente problema etico dell’Antico Testamento

Problema che viene riaperto dal recente massacro di Gaza a motivo della giustificazione con argomenti biblici fattane dalla leadership dell’entità sionista denominata Israele, occupante abusiva e razzista della Palestina fin dal 1948. Il premier Benjamin Netanyahu di recente ha giustificato questo massacro col preciso riferimento biblico ad Amalek:

«Dovete ricordare ciò che Amalek vi ha fatto, dice la nostra Sacra Bibbia. E noi lo ricordiamo. E combattiamo. Le nostre coraggiose truppe e i combattenti che ora si trovano a Gaza e in tutte le altre regioni di Israele si uniscono alla catena di eroi ebrei, una catena che era iniziata 3.000 anni fa, da Giosuè ben Nun, fino agli eroi del 1948, della Guerra dei Sei Giorni, della Guerra dell’Ottobre 73 e di tutte le altre guerre di questo Paese. Le nostre eroiche truppe hanno un obiettivo principale e supremo: sconfiggere completamente il nemico assassino e garantire la nostra esistenza in questo Paese».

Riprenderemo in seguito l’argomento per stabilire che non si è trattato di un impazzimento di Netanyahu né di una sua esegesi biblica ad usum delphini. Prima tuttavia vanno fatte alcune considerazioni circa il dominante luogo comune sugli Ebrei e i Cristiani instaurato da papa Wojtyla.

È quasi impossibile combattere i luoghi comuni ideologici, politici e religiosi, che spesso assumono la forza dei dogmi, a meno che… a meno che non cambino idea proprio i “signori del pensiero” che furono la fonte della loro creazione. La “creatività originaria” ed il cambio di idea avvengono entrambi per opportunismo. Il persistere della forza trainante di queste “guide mentali” viene attestato dal non interrotto zelo dei seguaci immuni da senso critico, così come senza autocritica avviene il cambio di luogo comune. Va infatti evitato il rischio che i “destinatari” (in realtà sarebbe più esatto parlare di “popolo bue”, tuttavia…) comincino a prendere gusto alla riflessione critica e comincino a svilupparla autonomamente.

Caso tipico è stato il passaggio degli Ebrei dalla plurisecolare accusa di deicidio alla wojtyliana categoria di “fratelli maggiori della fede”, passaggio anch’esso recepito senza grandi opposizioni dal gregge romano-cattolico. Le masse di seguaci del Vaticano sono abituate da circa duemila anni a digerire dogmatiche di vario tipo, sono catechizzate alla bella e meglio (quando lo sono state, perché il loro tasso di ignoranza religiosa è elevatissimo), la Bibbia l’hanno forse vista nella vetrina o nello scaffale di un negozio di libri ma non ne conoscono il contenuto (a parte i passaggi biblici letti durante le loro liturgie e più uditi che ascoltati); e quindi hanno mandato giù senza sforzo apparente la nova lectio wojtyliana sugli Ebrei fratelli maggiori.

Per chi non faccia parte della Chiesa di Roma, conosca la Bibbia ed il suo cervello non sia stato portato ad alcun ammasso, tale fraternità è del tutto priva di fondamento. Esaminiamola in sé, a prescindere dalle tesi (ovviamente poco conosciute) che vedono in Woityla una persona giuridicamente ebrea in quanto figlio di madre con tutta probabilità ebrea [1]. Sta di fatto che filoebraico lo era, come dimostrato dai suoi atti.

Questo aspetto nulla ha a che vedere con l’averlo proclamato santo: anche gli Apostoli erano ebrei ed anche il famigerato Juan de Torquemada (1388-1468) veniva da una famiglia di ebrei convertiti. Semmai la “santità” di Wojtyla è discutibile per motivi modani, materiali e finanziari. L’inusitata “fratellanza” affermata dal papa polacco va sottoposta ad una sorta di esame del DNA, teologico ovviamente.

Non si vuole certo aderire alle tesi di quanti, per ceti versi emuli dell’eretico Marcione (85-160), argomentano che anticamente le Chiese cristiane avrebbero fatto meglio a conservare dell’Antico Testamento solo la Genesi (che si chiude con la morte di Giacobbe e Giuseppe).

Tesi più emozionale che oggettivamente fondata, non tenendo conto di alcuni importantissimi elementi, non riducibili alla perdita qualitativa derivante dal buttare via i Libri Profetici e Sapienziali abbandonandoli alla sola ermeneutica del rabbinismo fariseo. Infatti il complesso dell’Antico Testamento si è sempre rivelato un prezioso contenitore di preaccenni utilissimi circa il futuro avvento del Messia, Figlio di Dio e Seconda Persona della Trinità, e non mero profeta ebreo.

Non da oggi il relativismo scettico dell’Occidente liquida le diversità fra le religioni, particolarmente per quelle monoteiste, ricorrendo al ritornello, ormai usurato ma sempre “in servizio” secondo cui “tanto Dio è sempre lo stesso”. Con rispetto per chi legge, si tratta di una monumentale cazzata, innanzi tutto dimostrata tale dalle biblioteche di volumi di studi di storia delle religioni e di religioni comparate.

Qui non si tratta di negare che nella Sua mera oggettività Dio resti lo stesso a prescindere da come lo si denomini e dalla teologia di volta in volta costruitagli attorno. Il punto è che, se i modi di intendere e di presentare Dio sono molto divergenti o addirittura antitetici, allora il Dio di un determinato versante risulta “altro” da quello di un versante diverso.

Sia l’Antico sia il Nuovo Testamento non sono “parola di Dio”, come invece spesso mistificano Romano-Cattolici e Protestanti vari. Si tratta di opere umane di cui non si hanno più le redazioni originarie, ma che ad esse viene riconosciuto un carattere “ispirato”. Se così non fosse allora sì che l’Antico Testamento dovrebbe essere gettato via, a parte i Libri Sapienziali, riducendosi ad una non sempre interessante né paradigmatica storia dei fatti e della cultura di un sanguinario micro-popolo del Vicino Oriente, rimasto sterilmente aggressivo una volta stanziatosi in Palestina e fronteggiato da potenze ben maggiori; spesso traditore verso il Dio dell’Alleanza ma sempre devoto al culto mondano dei traffici e del dio-denaro [2], come sostenne Marx.

Non basta dire che i contenuti religiosi della Bibbia ebraica vanno presi con le molle e solo per i preannunci prodromici alla Rivelazione cristiana in essa individuabili; va aggiunto che i c.d. Libri Storici pongono problemi fondamentali circa la loro veridicità per l’appunto storica. Di quanto essi attestano, dall’Esodo ai regni di Davide e Salomone – risalenti a circa 2000 anni prima di Cristo – non si hanno riscontri né documentaali né archeologici. Per esempio l’antica storiografia egizia tace su Mosè e sull’Esodo, del Tempio di Salomone non sono state rinvenute tracce, Gerusalemme capitale di Davide e Salomone è come la città perduta dell’Eldorado, e così via.

Si tratta di narrazioni pseudostoriche da considerare come più ci piace, ma non certo come fonti per attestare la realtà di personaggi e fatti. Allo stato delle cose non è possibile stabilire cosa essi coprano. E guarda caso, il tema della storicità dell’antico regno di Israele è assai poco studiato!

La concezione ebraica del divino, che domina il Vecchio Testamento, non fu sempre la stessa. Alle origini il c.d. Dio di Israele non ebbe assolutamente i caratteri del creatore universale e del filantropo verso tutte le creature, bensì quelli del sanguinario dio guerriero di un popolo conquistatore la cui indiscriminata “macelleria umana” era giusta perché assertivamente voluta dal proprio dal suo dio e comunque compiuta dal “popolo eletto”. Successivamente – come risulta dalle stesse nelle pagine bibliche – vennero abbandonate la prassi e la teorizzazione della guerra di sterminio, forse anche a seguito della catastrofe politica che portò alla fine delle monarchie israelitiche. Subentrò la visione aperta dei grandi profeti che accoglieva le altre nazioni accanto a Israele.

Ma il guaio è che essendo possibile altresì nella Bibbia ebraica trovare tutto e il contrario di tutto, senza un accorto sistema ermeneutico si hanno terreni fertili per le pulsioni di odio e violenza dei c.d. fondamentalisti, che spesso sono dei poveracci frustrati ma indottrinati ed organizzati da sataniche guide. Ne risulta che per Ebrei e Protestanti di questa fatta i primi libri della Bibbia sono indiscussi punti di riferimento a prescindere dalle implicazioni morali ed etiche.

Due grandi mistificazioni hanno fuorviato molti immaginari collettivi dal secolo scorso: la conquista del West e il processo di nascita dell’entità sionista di Israele [3]. Fin dal loro avvento in Palestina i primi coloni ebrei esercitarono violenza e razzismo sulla popolazione araba, quasicché loro stessi non fossero andati in Palestina per sfuggire a violenze e razzismo. Come mai? Domanda difficile, ma sta di fatto che per millenni la situazione politica costrinse gli Ebrei alla sottomissione in un mondo dominato da goyim, termine diventato dispregiativo per designare i non Ebrei. Ragion per cui l’aggressività ebraica dovette rimanere latente. Fino a quando – ulteriormente mutate le le condizioni politiche – i deboli di ieri (ma pur sempre “popolo eletto”) poterono tornare a sfoderare le unghie contro altri umani ancora più deboli. E tornarono di attualità, come guida illuminante, le pagine più sanguinose dell’Antico Testamento.

L’arma ideologica della rinata aggressività ebraica fu notoriamente il sionismo, in genere presentato come ideologia laica e nazionalista. Invece senza il simonismo religioso esso non sarebbe nato.

I testi biblici maggiormente genocidari riguardano la conquista della Palestina. Atroce è il Libro di Giosuè: un inno al genocidio sacro, animali domestici inclusi. Ma anche la parte biblica riguardante il profeta Samuele fa la sua parte, e ad essa si è riferito Netanyahu  col caso degli Amaleciti. Dio in persona (sic!) aveva ordinato agli Ebrei di sterminare tutti gli Amaleciti, popolazione araba locale che si opponeva a Israele: «cancellare il ricordo di Amalec sotto il cielo”» (Deuteronomio 25,19).

Re Saul venne incaricato di questo “nobile compito”: «Uccidi l’uomo e la donna, il bambino e il lattante, il bue e la pecora, il cammello e l’asino» (1 Samuele 15,8). Ma Saul non dette corso al massacro e risparmiò lo stesso re amalecita Agag. Il libro di Samuele presenta ciò come causa della rovina di Saul e del suo impazzimento, e il dio di Israele dice: «Mi pento di aver fatto re Saul, poiché egli è venuto meno alla sua fedeltà nei miei confronti e non ha eseguito i miei ordini» (15,11).

A fare a pezzi Agag ci pensò Samuele, titolare di una linea di comunicazione diretta con dio, al pari di tanti esponenti del Protestantesimo. Davide avrebbe preso il posto di Saul, mostrando di avere appreso la lezione: fece passare gli abitanti di Rabba «sotto seghe, erpici di ferro e asce di ferro, e li fece passare attraverso il forno per mattoni; e così fece con tutte le città dei figli di Ammon» (2 Samuele 12:31).

Come esempio del non impazzimento di Netanyahu valga – paradigmaticamente – l’atroce conferenza del rabbino Eliyahu Kin, nel 2009, proprio sulla questione: “Perché gli Ebrei devono distruggere Amalek?”. Gli Amaleciti hanno ricevuto il meritato castigo per essersi opposti alla volontà di Dio. Sterminare Amalek era bene, mentre salvare un solo Amalecita era male. Sterminare Amalek è l’espressione della bontà di dio (!), e si deve amare ciò che dio ama è odiare ciò che dio odia”, quindi odiare Amalek è amare Dio. Su questa teologia ebraica dell’odio divino obbligatorio per  i suoi seguaci ci sarebbe da ascrivere almeno un trattatello.

Naturalmente per il rabbi Eliyahu Kin le cose vanno viste pure al rovescio: gli Amaleciti sono malvagi anche perché si oppongono alla Torah in cui Dio ordina di sterminarli. In fondo la dialettica propagandistica del dott. Goebbels era di livello inferiore. Per Eliyahu Kinn (ma non solo per lui) Amalek era un concentrato di odio, e gli Ebrei devono odiare l’odio tranne quello di dio per Amalek. La visita ad uno specialista di malattie mentali di origine religiosa sarebbe filantropicamente consigliabile.

Ma si tratta di una malattia collettiva estesasi dai redattori di queste parti della Bibbia ebraica a tanti Ebrei dei secoli a venire, per i quali dio avrebbe dato loro il diritto di commettere genocidi, di impadronirsi delle terre e dei beni di altri popoli ovviamente predemonizzati, (Deuteronomio 7,16), di «distruggerli con una enorme distruzione finché non siano distrutti»(Deuteronomio 7,23), perché Israele è un popolo “santo”, una razza padrona tra le altre razze (Deuteronomio 7,6).

Yahweh o Adonai della Bibbia ebraica viene in genere, ma erroneamente, identificato col Dio-Padre della Trinità cristiana. In un nostro precedente scritto [4] l’argomento fu ampiamente trattato, sottolineando (come già aveva capito Calvino) che ad operare nel Vecchio Testamento è invece il Lógos, la seconda persona trinitaria incarnatasi secoli dopo in Gesù di Nazareth. Si tratta di una tesi solidamente argomentata, ragion per cui l’identificazione del Lógos col crudele dio ebraico ha qualcosa di satanico; ma quand’anche ci si attenesse alla tesi tradizionale di Yahweh=Dio-Padre, non meno demoniaco sarebbe il considerare divini gli ordini per il massacro indiscriminato di esseri umani.

Chi lo predica e chi compie il massacro appartengono alle schiere dell’Anticristo, mai così agguerrite come ai nostri tempi.


Note

[1] Cfr. Maurizio Blondet, Allora era proprio vero: Giovanni Paolo II era ebreo (forse franquista), in Chiesa viva, N. 388, Novembre 2006, pp. 6-7. Argomento ripreso dal Manchester Evening News il 29.8.2005 (l’articolo si trova in https://www.manchestereveningnews.co.uk/news/local-news/the-pope-was-jewish-says-historian-1067739).

[2] Karl Marx, Sulla questione ebraica, Bompiani, Milano 2007.

[3] Hollywood è il poderoso agente parzialmente occulto del sionismo yankee, coi suoi prodotti sovente ben confezionati. Nel 1960 uscì il film Exodus, un’esaltazione della nascita dell’entità sionista Israele. Ottimo film dotato di una trascinante e suggestiva colonna sonora. Nel 1967 la c.d. “guerra dei 6 giorni”, che molti di noi vissero come se si trattasse del sequel di quel film: l’ignoranza storica sulla questione palestinese era totale all’epoca.

[4] La “divinizzazione” del Cristo nel quadro del “monoteismo” giudaico, in Studi Interculturali, n. 2, 2023.