{"id":1462,"date":"2023-06-09T18:22:35","date_gmt":"2023-06-09T16:22:35","guid":{"rendered":"https:\/\/claydscap.com\/?p=1462"},"modified":"2024-03-08T14:44:10","modified_gmt":"2024-03-08T12:44:10","slug":"unidea-di-socialismo-e-di-nazione-di-gianni-ferracuti","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/claydscap.com\/unidea-di-socialismo-e-di-nazione-di-gianni-ferracuti\/","title":{"rendered":"Un’idea di Socialismo e di Nazione, di Gianni Ferracuti"},"content":{"rendered":"
Gianni Ferracuti: <\/a>Un’idea di Socialismo e di Nazione (2023)<\/a><\/h5>\n

Questo volume nasce dal recupero e dalla riscrittura quasi completa di un vecchio articolo intitolato Identit\u00e0 personale, identit\u00e0 culturale ed equivoco tradizionalista,<\/em> pubblicato nel 1999 ma scritto qualche tempo prima, durante la guerra civile jugoslava, e da altri testi risalenti alla stessa epoca. Durante quel conflitto le manipolazioni della propaganda avevano raggiunto livelli tali da riportare la memoria alla seconda guerra mondiale, con crimini giustificati da ideologie razziste e pulizia etnica, deformando con malafede il senso dell\u2019identit\u00e0 nazionale e delle tradizioni storiche. A mio parere, questa deriva razzista e criminale poggiava su una deformazione precedente e pericolosa, vale a dire la trasformazione dell\u2019idea di tradizione in un\u2019ideologia: il tradizionalismo, inteso come costruzione teorica assolutizzata in modo acritico e autoritario. L\u2019opposizione fra tradizione e tradizionalismo \u00e8 uno dei temi principali qui affrontati.<\/p>\n

Anche oggi \u00e8 in corso un conflitto di vaste proporzioni, che presenta aspetti di intolleranza verso culture altre, soprattutto l\u00e0 dove i sostenitori di un mondo\u00a0 monopolare, a guida unica\u00a0 occidentale, si presumono portatori e interpreti di una superiore idea di civilt\u00e0. Cos\u00ec mi \u00e8 sembrato utile tornare a quel vecchio saggio e ampliarlo riproponendo temi forse inediti per i giovani che da molto tempo ormai vivono acriticamente immersi in un flusso di informazioni manipolante – false informazioni, in realt\u00e0, per costruire una narrazione che prescinde dalla ricerca critica del vero, ma coincide con gli interessi di poteri non sempre individuabili con chiarezza.<\/p>\n

All\u2019epoca della prima stesura, esattamente come oggi, le questioni relative alle tradizioni culturali, intese come fattore identitario, erano state pressoch\u00e9 abbandonate dalla cultura di sinistra, nonostante la grande lezione di Pasolini, ed erano gravemente fraintese (appunto in chiave nazionalista e di separatezza tra le diverse identit\u00e0 nazionali) anche dalla cultura di destra, nonostante il grande lavoro intellettuale svolto da autori come Julius Evola, in particolare dopo la seconda guerra mondiale. Il lavoro di difesa e revisione delle culture tradizionali fu, ed \u00e8, compito di una minoranza di giovani intellettuali, situati, peraltro, nel quadro di una generale revisione della geografia politica dell\u2019epoca, dopo le fratture ideologiche degli Anni Settanta e una stagione di violenze di piazza che, nella loro irragionevolezza, avevano fatto solo l\u2019interesse di quel potere che si voleva criticare.<\/p>\n

Fu un elemento favorevole anche il calo di tensione della guerra fredda, che di l\u00ec a poco si sarebbe esaurita, permettendo che venisse meno la necessit\u00e0, per non dire la costrizione, di schierarsi con una parte o con l\u2019altra, senza possibilit\u00e0 di incontri trasversali e, in definitiva, rimpicciolendosi in uno spazio ideologico troppo stretto per essere soddisfacente. Disgraziatamente, le nuove formazioni politiche, che hanno sostituito i vecchi partiti della prima repubblica, non si sono rivelate all\u2019altezza delle necessit\u00e0: in particolare le nuove sinistre, in realt\u00e0 sedicenti tali, si sono precipitate, come i villani nel pranzo al buffet, sui piatti da portata approntati dalle nuove oligarchie finanziarie, osannando festevolmente un capitalismo internazionale pi\u00f9 che mai aggressivo, moralmente apolide, ostile a ogni forma di interesse nazionale, a ogni questione sociale e, in generale, a ogni identit\u00e0 che fornisca sostegno e autonomia alla persona. Si preferisce piuttosto alimentare una fluidit\u00e0 informe e inondare lo spazio sociale di individui disorientati, deboli, ignoranti, facilmente manipolabili, che il capitalismo odierno sfrutta come masse umane usa e getta.<\/p>\n

L\u2019identit\u00e0 a cui qui si fa riferimento \u00e8 sia personale sia collettiva. Per indicare quest\u2019ultima \u00e8 oggi comune l’uso di termini come etnia, o etnico, che sono del tutto fuorvianti: il vescovo di Bologna e io apparteniamo alla stessa etnia, ma non alla stessa cultura, quindi \u00e8 discutibile che abbiamo la stessa identit\u00e0; non tutti coloro che sono etnicamente arabi sono anche musulmani, e non tutti i musulmani sono arabi. Che un italiano si converta all’islam non rappresenta una sorta di tradimento della tradizione dei padri. La separazione dell’identit\u00e0 tradizionale e culturale dal sottofondo etnico \u00e8 una conquista e un superamento del pregiudizio per cui, essendo nati casualmente in un certo luogo geogra\u00adfico, si avrebbe l\u2019obbligo di identificarsi con il pensare collettivo di quel luogo.<\/p>\n

In modo singolare, chi si \u00e8 spinto maggiormente in avanti verso questa separazione \u00ablaica\u00bb di cultura ed etnia \u00e8 stato un autore solitamente considerato razzista da chi non lo ha letto con attenzione, cio\u00e8 Julius Evola. Ne Gli uomini e le rovine<\/em> Evola afferma: \u00abL’idea, soltanto l’idea, deve essere per costoro la vera patria. Non l’essere di una stessa terra, di una stessa lingua o di uno stesso sangue, ma l’essere della stessa idea deve essere per loro ci\u00f2 che unisce e che divide\u00bb<\/em>. Questo lo conduce a porre la questione, inedita e modernissima, della \u00abscelta delle tradizioni<\/em>\u00bb, che \u00abimplica la rinuncia alla infatuazione nazionalistica<\/em>\u00bb.<\/p>\n

Un’interpretazione \u00ablaica\u00bb di Evola \u00e8 mancata perch\u00e9 la cultura di sinistra si \u00e8 trovata a disagio con le dottrine di un \u00abfascista dichiarato\u00bb (in realt\u00e0, presunto tale), e la cultura di destra ha alimentato l’equivoco che realmente fosse tale, favorendone l\u2019emarginazione. Se finalmente si facesse una rigorosa au\u00adtopsia del fascismo italiano, si potrebbe discutere questo punto, trovando non poche sorprese.<\/p>\n

Naturalmente, le scelte di singoli individui in dissenso con la cultura dominante non alterano, nel breve periodo, la vigenza sociale della cultura comune; perci\u00f2, se da un lato sono legittime, dall\u2019altro lato non esonerano dal tener conto delle credenze collettive, altrettanto legittime e, inoltre, in grado di esercitare una maggiore pressione sociale. N\u00e9 il singolo individuo pu\u00f2 imporre il suo parere alla massa (secondo un reiterato errore progressista e illuminista), n\u00e9 la massa pu\u00f2 solidificarsi al punto di non ammettere dissensi o innovazioni, critiche e contaminazioni intellettuali, secondo un inveterato errore tradizionalista o fondamentalista: n\u00e9 il progresso individualista, n\u00e9 la fine della storia, ma il progresso collettivo per selezione e accumulazione del nuovo e del vecchio \u00e8 il ruolo della tradizione; la dinamica che articola conservazione e innovazione nella continuit\u00e0 \u00e8 il processo storico<\/em> che d\u00e0 forma alle identit\u00e0 collettive e personali che vivono<\/em> nella storia. […]<\/p>\n

DISPONIBILE SU AMAZON<\/strong><\/a><\/p>\n

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Gianni Ferracuti: Un’idea di Socialismo e di Nazione (2023) Questo volume nasce dal recupero e dalla riscrittura quasi completa di un vecchio articolo intitolato Identit\u00e0 personale, identit\u00e0 culturale ed equivoco tradizionalista, pubblicato nel 1999 ma scritto qualche tempo prima, durante la guerra civile jugoslava, e da altri testi risalenti alla stessa epoca. Durante quel conflitto le manipolazioni della propaganda avevano raggiunto livelli tali da riportare la memoria alla seconda guerra mondiale, con crimini giustificati da ideologie razziste e pulizia etnica, deformando con malafede il senso dell\u2019identit\u00e0 nazionale e delle tradizioni storiche. A mio parere, questa deriva razzista e criminale poggiava su una deformazione precedente e pericolosa, vale a dire la trasformazione dell\u2019idea di tradizione in un\u2019ideologia: il tradizionalismo, inteso come costruzione teorica assolutizzata in modo acritico e autoritario. L\u2019opposizione fra tradizione e tradizionalismo \u00e8 uno dei temi principali qui affrontati. Anche oggi \u00e8 in corso un conflitto di vaste proporzioni, che presenta aspetti di intolleranza verso culture altre, soprattutto l\u00e0 dove i sostenitori di un mondo\u00a0 monopolare, a guida unica\u00a0 occidentale, si presumono portatori e interpreti di una superiore idea di civilt\u00e0. Cos\u00ec mi \u00e8 sembrato utile tornare a quel vecchio saggio e ampliarlo riproponendo temi forse inediti per i giovani che da molto tempo ormai vivono acriticamente immersi in un flusso di informazioni manipolante – false informazioni, in realt\u00e0, per costruire una narrazione che prescinde dalla ricerca critica del vero, ma coincide con gli interessi di poteri non sempre individuabili con chiarezza. All\u2019epoca della prima stesura, esattamente come oggi, le questioni relative alle tradizioni culturali, intese come fattore identitario, erano state pressoch\u00e9 abbandonate dalla cultura di sinistra, nonostante la grande lezione di Pasolini, ed erano gravemente fraintese (appunto in chiave nazionalista e di separatezza tra le diverse identit\u00e0 nazionali) anche dalla cultura di destra, nonostante il grande lavoro intellettuale svolto da autori come Julius Evola, in particolare dopo la seconda guerra mondiale. Il lavoro di difesa e revisione delle culture tradizionali fu, ed \u00e8, compito di una minoranza di giovani intellettuali, situati, peraltro, nel quadro di una generale revisione della geografia politica dell\u2019epoca, dopo le fratture ideologiche degli Anni Settanta e una stagione di violenze di piazza che, nella loro irragionevolezza, avevano fatto solo l\u2019interesse di quel potere che si voleva criticare. Fu un elemento favorevole anche il calo di tensione della guerra fredda, che di l\u00ec a poco si sarebbe esaurita, permettendo che venisse meno la necessit\u00e0, per non dire la costrizione, di schierarsi con una parte o con l\u2019altra, senza possibilit\u00e0 di incontri trasversali e, in definitiva, rimpicciolendosi in uno spazio ideologico troppo stretto per essere soddisfacente. Disgraziatamente, le nuove formazioni politiche, che hanno sostituito i vecchi partiti della prima repubblica, non si sono rivelate all\u2019altezza delle necessit\u00e0: in particolare le nuove sinistre, in realt\u00e0 sedicenti tali, si sono precipitate, come i villani nel pranzo al buffet, sui piatti da portata approntati dalle nuove oligarchie finanziarie, osannando festevolmente un capitalismo internazionale pi\u00f9 che mai aggressivo, moralmente apolide, ostile a ogni forma di interesse nazionale, a ogni questione sociale e, in generale, a ogni identit\u00e0 che fornisca sostegno e autonomia alla persona. Si preferisce piuttosto alimentare una fluidit\u00e0 informe e inondare lo spazio sociale di individui disorientati, deboli, ignoranti, facilmente manipolabili, che il capitalismo odierno sfrutta come masse umane usa e getta. L\u2019identit\u00e0 a cui qui si fa riferimento \u00e8 sia personale sia collettiva. Per indicare quest\u2019ultima \u00e8 oggi comune l’uso di termini come etnia, o etnico, che sono del tutto fuorvianti: il vescovo di Bologna e io apparteniamo alla stessa etnia, ma non alla stessa cultura, quindi \u00e8 discutibile che abbiamo la stessa identit\u00e0; non tutti coloro che sono etnicamente arabi sono anche musulmani, e non tutti i musulmani sono arabi. Che un italiano si converta all’islam non rappresenta una sorta di tradimento della tradizione dei padri. La separazione dell’identit\u00e0 tradizionale e culturale dal sottofondo etnico \u00e8 una conquista e un superamento del pregiudizio per cui, essendo nati casualmente in un certo luogo geogra\u00adfico, si avrebbe l\u2019obbligo di identificarsi con il pensare collettivo di quel luogo. In modo singolare, chi si \u00e8 spinto maggiormente in avanti verso questa separazione \u00ablaica\u00bb di cultura ed etnia \u00e8 stato un autore solitamente considerato razzista da chi non lo ha letto con attenzione, cio\u00e8 Julius Evola. Ne Gli uomini e le rovine Evola afferma: \u00abL’idea, soltanto l’idea, deve essere per costoro la vera patria. Non l’essere di una stessa terra, di una stessa lingua o di uno stesso sangue, ma l’essere della stessa idea deve essere per loro ci\u00f2 che unisce e che divide\u00bb. Questo lo conduce a porre la questione, inedita e modernissima, della \u00abscelta delle tradizioni\u00bb, che \u00abimplica la rinuncia alla infatuazione nazionalistica\u00bb. Un’interpretazione \u00ablaica\u00bb di Evola \u00e8 mancata perch\u00e9 la cultura di sinistra si \u00e8 trovata a disagio con le dottrine di un \u00abfascista dichiarato\u00bb (in realt\u00e0, presunto tale), e la cultura di destra ha alimentato l’equivoco che realmente fosse tale, favorendone l\u2019emarginazione. Se finalmente si facesse una rigorosa au\u00adtopsia del fascismo italiano, si potrebbe discutere questo punto, trovando non poche sorprese. Naturalmente, le scelte di singoli individui in dissenso con la cultura dominante non alterano, nel breve periodo, la vigenza sociale della cultura comune; perci\u00f2, se da un lato sono legittime, dall\u2019altro lato non esonerano dal tener conto delle credenze collettive, altrettanto legittime e, inoltre, in grado di esercitare una maggiore pressione sociale. N\u00e9 il singolo individuo pu\u00f2 imporre il suo parere alla massa (secondo un reiterato errore progressista e illuminista), n\u00e9 la massa pu\u00f2 solidificarsi al punto di non ammettere dissensi o innovazioni, critiche e contaminazioni intellettuali, secondo un inveterato errore tradizionalista o fondamentalista: n\u00e9 il progresso individualista, n\u00e9 la fine della storia, ma il progresso collettivo per selezione e accumulazione del nuovo e del vecchio \u00e8 il ruolo della tradizione; la dinamica che articola conservazione e innovazione nella continuit\u00e0 \u00e8 il processo storico che d\u00e0 forma alle identit\u00e0 collettive e personali che vivono nella storia. 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