Raffaele Federici: Tecnica e cultura fra modernità e identità. L’uno e i molti fragili
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Raffaele Federici: Tecnica e cultura fra modernità e identità. L’uno e i molti fragili

Raffaele Federici:
Tecnica e cultura fra modernità e identità. L’uno e i molti fragili

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estratto da “Studi Interculturali” 3, 2013

Studi interculturali è una rivista pubblicata dal Centro di Studi Interculturali Mediterránea, col patrocinio del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Trieste e il coordinamento editoriale di Gianni Ferracuti. Tutti i volumi si possono scaricare gratuitamente dai siti interculturalita.it e ilbolerodiravel.org. Vengono inseriti su claydscap.com i singoli articoli della rivista, estratti dal pdf originale.

“Il XX secolo, per i progressi raggiunti sul piano della ricerca scientifica e dell’innovazione tecno­logica, per la sua tendenza ad unire le periferie del globo con i centri del sistema-mondo e renderli nodi di una unica rete totale, ha visto prodursi un articolato corpus di visuali, punti di osservazione e paradigmi che hanno dato forma e contenuto a svariate ipotesi di periodizzazione e di interpretazione del secolo stesso. Quello che si ravvisa è, con altre parole, la «molteplicità» come uno dei tratti caratteristici della modernità. Fu Simmel che rilevò a partire da «Le metropoli e la vita dello spirito» la molteplicità degli stimoli, legata all’accelerazione dei tempi, a determinare la graduale superficializzazione dell’esperienza, in un cambiamento della sensibilità individuale che rappresenta l’unica salvezza di fronte alla quantità eccessiva di impressioni, sollecitazioni, messaggi, immagini, e relazioni quotidiane, a cui non è più possibile rapportarsi in modo corretto. Per il Berlinese, tale atteggiamento di «neutralità oggettiva con cui si trattano uomini e cose» è quello tipico dell’«economia monetaria» e che individua un rapporto di Wechselwirkung o di causalità circolare tra molteplicità, desensibilizzazione e organizzazione tecno-economica del mondo, nel quale il pensiero calcolante appare come la modalità elettiva di governo della molteplicità.

Di fronte ai complessi edifici critici del contemporaneo ritrovare le parole, i pensieri e le riflessioni dei classici nel tempo appena passato diventa una necessità perché le persone sembrano immerse nella banalità, nella riduzione di tutto a luogo comune, alla perdita di orientamento, alla ricerca di impossibili alternative idealiste e materialiste. Un tale percorso sembra opportuno di fronte al generale «spaesamento» che gli studiosi vivono, precipitati nelle grandi trasformazioni di una modernità che non sa più raccontarsi perché l’esito della metamorfosi è spesso improbabile, ma i cui effetti sono diretti sulla vita vissuta. Siamo di fronte a un tecno sistema «sconosciuto», nichilista, di cui si ha una immagine e una conoscenza spesso generica ed è, per questa ragione, indispensabile recuperare e accogliere la dimensione quotidiana. In tale sentiero ritrovare i classici del pensiero sociologico significa riflettere sull’oggi, sul divenire, sul mutamento, operazioni intellettuali in cui è necessaria quella umiltà che dovrebbe caratterizzare qualsiasi ricerca scientifica ri-partendo dalla costruzione sociologica del pensiero.

In particolare ricordo che il paradigma della modernità ha trovato nei concetti di progresso e di sviluppo le definizioni operative del cambiamento. La prospettiva che si è successivamente palesata ha declinato nel processo dinamico tecnico e tecnologico la «sua necessità», dimenticando però che la persona dell’età della tecnica ha la sua origine culturale dall’essere mortale per cui Prometeo ha rubato il fuoco e a cui ne ha fatto poi dono, rendendolo così costruttore, attraverso la tecnica del suo destino. Da tale vertice si comprende come l’attore sociale sia, nello stesso tempo, figlio della tecnica e della natura e trovi in questa rappresentazione la sua identità e sia il risultato e l’esito di una oggettivizzazione dell’esperienza.

Se è vero che si può studiare, analizzandola, ogni espressione fenomenica del vivere delle persone nel «nostro» tempo saturo e complesso, trovare una chiave di volta dell’osservazione diventa una impresa scientificamente e culturalmente «difficile». Un percorso che deve tenere conto del passaggio all’eurocentrismo, culturale, scientifico, economico, demografico e politico e del piano mondiale che ha fatto nascere i nuovi centri nervo-connettivi nelle Americhe e nel sud est asiatico. Uno spostamento non solo dei «poteri» ma che, in qualche modo, rappresenta l’emergere di nuove soggettività e di nuove forme di capitale culturale e economico. Sono forme che presentano in un forma nuova il tema dell’identità poiché se l’altro sguardo, per dirla con Canetti, è quello che regge il sistema quando l’altro confine perde certezza, si dissolve, l’esperienza si fa indefinibile, non riconoscibile, e il sistema dei valori si sposta nel suo asse.

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