CRISI POLITICA,  D'ANNUNZIO E FIUMANESIMO,  F. T. MARINETTI E IL FUTURISMO,  FASCISMO,  PRIMA GUERRA MONDIALE

Mario Carli: Il nostro bolscevismo (Fiume, 1920)

Il nostro bolscevismo
Mario Carli
1920

E poiché non è questa l’ora di paventare il suono di certe parole-spauracchio, ma è infinitamente gustoso sviscerare la polpa che si annida sotto una scorza irta di pungiglioni fittizii, affronteremo alla solita maniera ardita il vecchio problema del bolscevismo.

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Le mattinate di febbraio sul Quarnaro sono una meraviglia di filtri azzurri, chiazzati da nuvolette di mandorli rosei, che sembrano carni di fanciulli arrampicati sui muri degli orli, a cogliere primizie e ad inventare caccie fantasiose. Le strade che salgono dal mare alle ultime pendici carsiche, incerte tra il grigio spettrale delle albe e il viola, mistero dei crepuscoli, hanno una lucidità che le promette pronte a snodarsi con grazia compiacente sotto la marcia delle più rosse bandiere e delle più tremende avanguardie.

Con questi occhi primaverili noi salutiamo con saldo ottimismo anche le più truci invenzioni della paura collettiva, e tocchiamo con fiducia il colore soleggiato del manto notturno che faceva parer bianchi e terrorizzanti gli spettri.

In fondo, da Fiume, osservatorio un po’ più vicino all’Oriente che non Roma o Milano, possiamo dirvi, compagni italiani, che il diavolo non è poi così nero e antiestetico come sembrava. Questione di visuale e di serenità mentale, semplicemente.

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Ma perché non ci siano equivoci, vanno asseriti con decisione incrollabile alcuni principii che, suppongo, non saranno mai invertiti.

Intanto, il bolscevismo non coincide affatto col pussismo italiano. Prendendo la Russia come modello tipico di rivoluzione sociale, si vede anzitutto che il bolscevismo è stato un movimento, non tanto grettamente espropriatore, quanto rinnovatore, perché ha voluto ricostituire in base a ideali vasti e profondi l’edificio sociale, assurdamente sbilenco sotto il decrepito regime zarista.

Inoltre il bolscevismo russo, animato da un potente soffio di misticismo, non si è mosso con quei criterii di pacifismo codardo, che fanno dei cortei proletarii italiani altrettante processioni d’innocenti agnellini, che hanno orrore del sangue ma ostentano con incredibile ardire la pennellata di carminio in forma di garofano rosso all’occhiello. Il popolo russo ha saputo anche difendere la sua rivoluzione, e gli eserciti di Lenin si sono battuti, spesso, vittoriosamente, contro i bianchi paladini della reazione.

Assodato poi che i socialisti italiani non credono nella rivoluzione, non la vogliono e non fanno nulla per provocarla, possiamo stabilire in modo definitivo che noi legionarii non avremo mai alcun contatto, e neppure alcun cenno di approccio, con quella ottusa cocciuta grettissima cretinissima Chiesa che è il Partito Ufficiale Socialista italiano, colpevole, davanti a noi, di non aver accettato la guerra di ribellione contro gli Imperi Centrali, di ostinarsi a diffamarla ancora oggi, di aver dato una mano a Nitti per assassinare la vittoria, e di non aver capito la bellezza e la portata rivoluzionaria dell’impresa dannunziana.

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Non è dunque ad occidente, parlando di bolscevismo, che bisogna guardare, ma ad oriente.

In ogni vita di uomo o di popolo, è noto che dopo il periodo giovanile dei tumulti procellosi, viene il periodo della saggezza e dell’assettamento maturo. Non è da dubitare che, cessata la febbre dei sovvertimenti convulsionarii, inevitabile in un movimento così gigantesco, spazzati via gli ultimi tentativi di soffocazione reazionaria, la Russia riavrà la sua pace, e inizierà la sua resurrezione graduale, e riprenderà le sue relazioni di affari e di pensiero con tutto il mondo.

Le stragi, che sembrarono inique, le fucilazioni in massa, le repressioni violente, che hanno avvicinato la figura di Lenin a quella di Marat, finiranno esse pure, e il popolo russo, il più travagliato dei popoli moderni, avrà una vita nuova e gloria sicura nei secoli.

È da questo punto del processo ritmico della rivoluzione russa, è da questa fase della malattia bolscevica, che noi dobbiamo partire. Oggi s’inizia la convalescenza del popolo russo. Guardando a ritroso, noi possiamo rievocare tutti gli errori e gli orrori, tutte le miserie e gli eroismi, tutte le luci e le ombre per cui è passato questo popolo. Terremo conto della sua esperienza tragica, ma feconda di succhi vitali per l’avvenire degli altri popoli. Studiando le ferite non ancora cicatrizzate di questo sublime paziente, impareremo ad evitare i suoi errori e assimileremo i resultati della sua cura laboriosissima. Cosicché sapremo qual è il procedimento da seguire, quali sono le precauzioni da prendere, quali gli urti da evitare, e il bisturi sezionerà, amputerà, sviscererà con più sicurezza, scendendo diritto e senza esitazione sulle piaghe.

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Anche ci ripugna, della mentalità socialista, la mania del livellamento, che non si riduce solo ad equiparare la portata iniziale di ogni borsa, ma vorrebbe contendere all’intelligenza il primato a cui ha incontestabile diritto; e vorrebbe cancellare la bellezza del mondo, asservendola all’utilità immediata e senza saper creare nuove forme di bellezza, e senza saper utilizzare quel bisogno di lusso, di eleganza e di arte che è stato finora patrimonio delle classi dirigenti, ma che potrà estendersi rapidamente a tutte le classi che si affacciano all’agiatezza e al dominio.

Il nostro sogno più caro di artisti e di lottatori è sempre stato quello di sollevare la miseria materiale e spirituale delle masse, e se domani avremo modo di sopprimere in loro prima la fame, poi l’ignoranza, potremo dire di aver raggiunto uno degli obbiettivi fondamentali di tutta la nostra azione.

Non chiediamo di meglio che chiamare accanto alle «élites» anche i rappresentanti del «numero» a partecipare della vita collettiva, a decidere dei propri interessi e del proprio destino. Il soviet (altra parola-spauracchio per i mosci borghesi di tutti gli Stati) è un prodotto così ragionevole e così utile dei nuovi tempi, ed è già così diffuso, sotto la forma sindacale, negli ambienti amministrativi e industriali, che non si capisce perché non debba entrare senz’altro nella vita politica e militare.

Gli ufficiali che han fatta la guerra sanno bene come erano preziosi, in certi momenti della vita di trincea, i consigli del graduato veterano, o anche del semplice fante che vedeva con meravigliosa chiarezza i pericoli da prevenire, le accortezze da usare, i modi e la tecnica di certe azioni di guerra.

Quante volte abbiamo dovuto constatare che la precisa ed acuta esperienza di un soldato qualunque valeva più di tutti i trattati di arte militare sciroppati a Modena o a Caserta!

E allora, perché non ammettere questi umili, questi acuti rappresentanti della massa senza nome, alla direzione degli affari politici, sociali, militari, amministrativi, come consiglieri e come interpreti della volontà delle maggioranze? Naturalmente a parità di condizione, senza alcuna supremazia o dittatura.

Una cosa sola io non riesco a capire. Perché questo rinnovamento profondo non si possa fare sul terreno nazionale e patriottico. In Russia si difende la rivoluzione, ma si difende anche l’integrità territoriale, che vuol dire integrità spirituale. In Ungheria, in Germania, nell’Austria, la patria è posta al disopra di tutto, e si mostrano i denti alle stesse nazioni vittoriose, se per caso eccedono nelle loro pretese annessioniste.

Solo in Italia il socialismo bolscevizzante è ermeticamente, ferocemente antipatriottico.

Conclusione? I bolscevichi d’Italia sono forse comprati da denaro straniero, e non hanno neppure l’elementare prudenza di salvare le forme. Volete la riprova di questo? Fate un qualsiasi movimento, che, pur non giovando al socialismo, sia contro l’Italia, e voi avrete certissimamente alleati i socialisti ufficiali. Viceversa: Fiume. Danneggia forse la causa socialista? Al contrario: la favorisce. Ma poiché noi lavoriamo per l’Italia, e non già, ad esempio, per la Jugoslavia, ecco che costoro ci osteggiano.

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Ancora una volta: guardiamo all’Oriente! Tra Fiume e Mosca c’è forse un oceano di tenebre. Ma indiscutibilmente Fiume e Mosca sono due rive luminose. Bisogna, al più presto, gettare un ponte fra queste due rive.

Mario Carli, Il nostro bolscevismo, “La Testa di ferro”, 15 febbraio 1920, n. 3.