Gianni Ferracuti: Vie del sapere tra Oriente e Occidente: Il tao, il logos, lo zen
Gianni Ferracuti:
Vie del sapere tra Oriente e Occidente: Il tao, il logos, lo zen
Contenuto:
– Il tao ovvero l’arkhé
– Il tao del logos
– In principio
– L’illusione della cavallinità
– Percorsi costruttivi antagonisti
– Untitled (ma con rispetto)
– Zen della gamba rotta
L’apparente forza logica dell’idea secondo cui l’essere è, e non può non essere (questa è la sostanza del discorso, anche se la formula usata da Parmenide è un po’ più complessa), cade osservando che il termine che traduciamo con essere, to on, viene usato nel significato linguistico che gli appartiene secondo la grammatica greca, ma dopo che lo si è tolto dalle condizioni che lo rendono significante nella lingua reale. Nella lingua reale diciamo che una cosa “è”, in quanto abbiamo visto le sue caratteristiche, il suo aspetto, e dunque ci appare… essere un asino, una capra, una botte, una persona. Insomma usiamo il verbo essere in costante riferimento a un soggetto, un luogo, un tempo: a qualcosa di determinato.
Proprio perché ci sono queste determinazioni il verbo essere ha un significato comprensibile. Siccome davanti a me “c’è” un oggetto che possiede le determinazioni e le caratteristiche della capra, si capisce che cosa dico quando uso la frase: questa “è” la capra. Ma se non c’è la capra, non posso usare il verbo essere. Se qualcuno mi dice che c’è qualcosa che non ha alcuna determinazione, ma che possiamo chiamare essere, allora deve presentarmi questa cosa, perché io non l’ho mai vista e non credo che esista. Di qualcosa che al tempo stesso sia, ma non abbia determinazioni, non abbiamo alcuna esperienza. È vero che c’è l’albero e c’è la capra, ma è ipotetico che l’essere-albero e l’essere-capra implichino un essere-né-albero-né-capra, e tuttavia continuando a essere con effettività di realtà: non c’è esperienza di questo. Astrarre un essere comune dalle frasi (effettivamente significanti): “questa è la capra”, “questa è la brocca”, equivale ad astrarre la parola che hanno in comune (“è”), pretendendo che possa conservare il suo significato. Come dimostrazione vale quanto astrarre dalle due frasi l’articolo “la” e pretendere che sia la radice dell’intero universo.
Lao-tze, il maestro a cui viene attribuito il Tao-tê-ching, non c’era cascato. Se qualcosa ha un nome e/o una forma, vuol dire che si colloca all’interno del processo della generazione, o divenire: è nato da qualcos’altro. Se si cerca l’origine dell’intero processo del divenire mondano, cioè del complesso delle cose che hanno nome e forma, bisogna vederla non in qualcosa che è già differenziato e individuato (=è uno degli esseri), ma in un principio formatore e, pertanto, pre-formale, al quale non possiamo applicare alcun nome di quelli che usiamo per distinguere e denominare gli esseri mondani. Per quanto pesi a Parmenide, ciò che “è” può derivare solo dal non essere.