Gianni Ferracuti: Blas Infante. Andalusismo. Flamenchismo
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Gianni Ferracuti: Blas Infante. Andalusismo. Flamenchismo

Gianni Ferracuti:
Blas Infante. Andalusismo. Flamenchismo.

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estratto da “Studi Interculturali” 3, 2013

  • Gianni Ferracuti: L’autonomismo andaluso e Blas Infante
  • Blas Infante: Ideale andaluso
  • Blas Infante: Manifesto della nazionalità
  • Blas Infante: Origini del flamenco e segreto del cante jondo

Studi interculturali è una rivista pubblicata dal Centro di Studi Interculturali Mediterránea, col patrocinio del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Trieste e il coordinamento editoriale di Gianni Ferracuti. Tutti i volumi si possono scaricare gratuitamente dai siti interculturalita.it e ilbolerodiravel.org. Vengono inseriti su claydscap.com i singoli articoli della rivista, estratti dal pdf originale.

“L’esistenza di una cultura andalusa, differenziata rispetto alla castigliana, alla catalana, o alla gagliega, è oggi normalmente accettata, sia che la si prenda a fondamento di una rivendicazione autonomista o separatista, sia che la si consideri nel quadro unitario della tradizione spagnola. Però la sua riscoperta, o la sua definizione, è avvenuta attraverso un processo lungo e molto complesso, in parte influenzato da fattori, per così dire, esterni (come il romanticismo, con la sua rivalutazione delle tradizioni popolari, o la polemica contro le politiche centraliste, con la sua rivendicazione di autonomia regionale o provinciale), e in parte da fattori interni, come il recupero di una memoria storica perduta, o rimossa. La tradizione andalusa, nei suoi aspetti storici, e non nelle mitologie, è nata prima ancora che esistesse la Spagna – quindi prima ancora che l’Andalusia fosse una parte della Spagna – e, fino a tempi piuttosto recenti, ha trovato nella Spagna un interlocutore ostile. Così, il processo di formazione di ciò che possiamo intendere oggi per cultura andalusa ha attraversato fasi e problemi che non trovano sempre riscontro nei casi analoghi di recupero delle identità tradizionali. Basti pensare che la nostra idea attuale dell’Andalusia nasce da una riflessione avviata nel Settecento, sotto la spinta di una visione del mondo – l’illuminismo – che in teoria sarebbe la meno adatta alla comprensione delle tradizioni popolari.

Come chiarirò tra breve, non intendo l’identità come la costruzione di un’immagine statica e immutabile, e se parlo di tradizione andalusa o cultura andalusa non è per darne una definizione, ma per seguirne la storia e per trovare le ragioni storiche degli eventi; tuttavia, ciascuna persona può essere consapevole o inconsapevole del passato del paese in cui nasce, e non si tratta di una differenza da poco. Poi, avendone consapevolezza, niente e nessuno la obbliga ad adeguarsi agli stili di vita che si presumono tradizionali. Anche il recupero della memoria e la ricostruzione (o costruzione) dell’identità tradizionale hanno una storia, e sostanzialmente è di questa che mi occupo.

Nel processo di formazione dell’idea odierna dell’Andalusia ci sono alcuni momenti significativi, di cui anticipo un semplice elenco:

  1. la rottura della solidarietà con Madrid, con la Spagna ufficiale (ammesso che sia mai esistita pienamente): non da parte di formazioni banditesche organizzate o nuclei di guerriglia, ma da parte di esponenti (soprattutto politici) della legalità;
  2. il radicamento del pensiero autonomista;
  3. la trasformazione dell’autonomismo in andalusismo;
  4. la riscoperta andalusista di un passato che, progressivamente, si estende fino all’al-Ándalus musulmana, a quella Spagna delle tre culture, la cui esistenza politica e istituzionale cessa con la caduta del regno di Granada nel 1492.

In questo contesto acquista un rilievo importante il dibattito sulle origini del flamenco, per due ragioni fondamentali: anzitutto, perché, nella seconda metà dell’Ottocento, il flamenco risulta essere il più appariscente elemento differenziatore della cultura andalusa rispetto al resto della Spagna; poi perché la lunga gestazione del flamenco permette di affermare una ininterrotta continuità culturale tra l’Andalusia del presente e quella precedente la riconquista (o conquista, come si diceva senza ipocrisie nel XVI secolo) castigliana.

Autonomismo, andalusismo, nazionalismo

Come ha precisato Ortega y Gasset, federalismo indica un progetto politico nel quale alcuni stati sovrani convengono di dar vita a un organismo unitario, la federazione, mediante la cessione di quote di sovranità: la federazione – il governo federale – sarebbe dunque un’entità nuova che si aggiunge alle preesistenti; invece autonomismo è un termine per indicare il processo in base al quale uno stato sovrano, già esistente, devolve quote di sovranità ad alcune sue parti (regioni, provincie). Di fatto, se ci si concentra sul risultato finale, cambia poco: in entrambi i casi si ha un governo centrale con un minimo di competenze, ed entità periferiche con il massimo di autonomia possibile. Ora, nel caso della Spagna è evidente che uno stato sovrano esiste già, e dunque tutte le tendenze anticentraliste non possono che rientrare nell’autonomismo o in un progetto di secessione.

Bisogna poi distinguere tra autonomismo e andalusismo. La cessione del potere decisionale dal centro alla periferia può essere un fatto meramente amministrativo, o una semplice questione di organizzazione; oppure è possibile che la periferia, ad esempio una regione, oltre a richiedere competenze e poteri decisionali sul suo territorio, rivendichi anche una propria personalità culturale, una tradizione ben definita e diversa da quella di altre regioni o del centro del paese; in questo caso l’autonomia si pone al servizio di questa tradizione culturale, che vuole salvaguardare e potenziare. Andalusismo è appunto l’integrazione della rivendicazione autonomista in una concezione della tradizione andalusa come cultura completa, vigente, ed espressione di un popolo che rivendica sovranità. Com’è evidente, i due termini non sono equivalenti: uno potrebbe essere autonomista e ritenere insopportabile il flamenco, mentre non è possibile essere andalusista e rinunciare all’autonomia decisionale in materia di lingua, istruzione, difesa della cultura popolare e sovranità sul territorio.

Nelle fonti, e anche nella letteratura critica, il concetto di andalusismo è legato spesso all’ambiguo termine nazione: si parla di nazione andalusa anche nell’opera di pensatori importanti, come Blas Infante. In questo caso l’equivoco nasce, in buona misura, dal proiettare su testi di fine Ottocento e primo Novecento un’idea di nazionalismo che si forma nei decenni successivi. Il cosiddetto nazionalismo andaluso non ha nulla in comune con i nazionalismi europei, a parte il nome. Si tratta di una realtà politica collocata all’estrema sinistra, in rapporto con i partiti socialisti, l’anarchismo e il pensiero repubblicano, mentre i coevi nazionalismi europei vanno a collocarsi all’estrema destra e teorizzano uno stato centralista e fortemente autoritario. Un’espressione come «nazione andalusa» fa riferimento alla terra e alla cultura dell’Andalusia come luogo in cui si nasce. Si nasce in un paese che ha una storia, una memoria storica, una mitologia, un folclore, un sapere organico, un sistema di credenze, una lingua, e si apprende il tutto nell’educazione, si adottano gli stili di vita proposti dalla tradizione. Nulla di tutto questo è automatico: dalla tradizione ci si può staccare, o si può aderire ad essa provenendo da un’altra cultura, ma nella maggior parte dei casi è normale che la nascita sia l’inserimento nella cultura che diventerà la propria, solidale o affine alla cultura delle altre persone che vivono nello stesso territorio, pur essendo interpretata attraverso il filtro della propria personalità. Questo è il significato del termine nazione, in riferimento all’andalusismo…”

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