Ezra Pound: Scritti economici
«Non credo che si possa realmente parlare di un «fascismo» di Ezra Pound.
Detto così, sembra quasi un paradosso o un’idea sostenuta per amor di tesi: se c’è uno tra i tanti illustri rappresentanti dell’intelligenza europea degli Anni Trenta cui non si può negare la convinta adesione al fascismo, questi è proprio Ezra Pound. Eppure non mi pare così
pacifico, soprattutto perché forse non siamo d’accordo sul termine «fascismo». E già questa adesione di molti intellettuali europei al fascismo andrebbe pur spiegata, oltre che «giudicata».
Anzitutto il fascismo è una realtà storica molto complessa, composita. Non è un monolite. In secondo luogo, non bisogna confondere il giudizio politico sul fascismo con il giudizio storico. E in terzo luogo bisogna distinguere tra la realtà del fascismo e l’interpretazione o valutazione personale che ne dia un simpatizzante: non è detto che coincidano. Se parliamo del fascismo come una realtà storica chiusa tra il 1922 e il 1945, la condanna politica delle forze fasciste attuali può benissimo convivere con un’analisi serena di quegli anni, in cui è impossibile che sia stato tutto negativo.
Io credo che, dentro ciò che allora si diede il nome di fascismo, fossero presenti correnti di pensiero molto diverse tra loro, spesso irriducibili le une alle altre, e ciascuna di esse agiva nella situazione politica data, per attuare i suoi progetti, per condizionare il movimento, la forma futura del regime, i suoi sviluppi. Credo anche che nessuna di queste correnti accettasse il fascismo in blocco, ma discriminasse in esso qualcosa che condivideva da qualcosa che non condivideva. Perciò era «nel» fascismo, e progettava un esito della situazione, uno sbocco, non necessariamente coincidente con quello che il regime ha realizzato di volta in volta, nelle sue varie fasi.
Sempre mi sono chiesto che cosa unisse nel fascismo uomini così diversi come Gentile, Evola, Preziosi, Michels, e la mia risposta è che ciascuna corrente di pensiero presente «nel» fascismo interpretava il movimento rivoluzionario in atto. Ho sottolineato delle parole che mi sembrano importanti, perché differenziano la nostra possibile presa di posizione verso il fascismo da quelle possibili a un contemporaneo suo. Era un’interpretazione: uno avrebbe potuto dare una valutazione politica consistente in questo: condivido l’obiettivo ma non accetto il metodo dittatoriale. Era un processo in atto, in corso; pertanto il tizio di prima avrebbe potuto concludere: bisogna stare dentro il processo (che condivido in parte) perché sia condizionato ad abbandonare l’altra parte e ad adottare certe diverse forme istituzionali che potenzialmente contiene.
Noi non possiamo valutare il fascismo in questo modo, per la semplice ragione che non ne siamo contemporanei, cioè che non si tratta più di un processo in corso: il fascismo del Ventennio è finito, e non può più evolvere in una direzione o nell’altra; non può evolvere in assoluto. Si potrà porre il problema di un neofascismo, ma questa è un’altra questione, politica, di attualità, che nulla ha a che vedere col tema storico che affronto ora. […]»


