
Emilio Settimelli: Il piccolo De Sanctis (Contro B. Croce) (1909)
Il piccolo De Sanctis
(Contro B. Croce)
Emilio Settimelli
DIFESA DELL’ARTE
Periodico di critica, diretto da Virgilio Scattolini
Anno I. 1909
Avanti, avanti, sempre, figliuoli! Avanti, co’ calci de’ fucili!
G. GARIBALDI.
Firenze, 1 Dicembre 1909
Dopo il D’ Annunzio, il Croce? Sì! e la serie, io credo, non sarà presto compiuta. Non più opportuno potrebbe essere questo articolo dopo quello sulla poesia del D’Annunzio. Dimostrata l’inettitudine del poeta, niente di più opportuno del dimostrare l’inettitudine del critico che lo esalta e gli appuntella il trono, ormai scosso abbastanza e vacillante. Vacillante e scosso in modo che presto finirà di precipitare, in mezzo alla nostra più schietta allegrezza, perché il giorno in cui le poesie del D’Annunzio saranno considerate brutture, l’Italia comincerà a risorgere e la sua coltura non più capricciosa e femminile comincerà a solidificarsi, a disciplinarsi, ad esser degna delle tradizioni. È bene esser chiari, e non tentennare. Cominceremo subito col dire che il signor Croce scrive male, assai male di critica, ritorna parecchi anni addietro in questa laboriosa ed utile disciplina, pur dandosi grand’aria di innovatore. Ma ecco che comincio subito a distinguere il mio modo di critica, io che tuttora lavoro intorno ad un sistema logico ed oggettivo, e imprendo a dimostrare quello che ho detto.
Il Croce invece, se avesse voluto dire qualcosa di simile avrebbe affermato: Il tale scrive male, assai male di critica, ecc.: e tutti pari. Ed io, come ora fo appunto, gli sorgerei contro a dirgli: Lasci le pose d’oracolo, ai responsi a questi lumi di luna non ci si crede più e quando un tale emette un giudizio, lo dimostri vero, se no, neppure ci cureremo di ascoltarlo. Dunque eccomi a dimostrare che B. Croce gode di una fama immeritata (come critico, s’intende) e a dimostrare che le asserzioni del Croce sono cervellotiche e soggettive non solo, ma che non hanno neppur l’ombra di una dimostrazione di verità.
Prendiamo quindi ad esaminare uno studio critico, per esempio quello su Olindo Guerrini. Scelgo questo volentieri perché mi è grato dir qualcosa sul simpatico Stecchetti. Si comincia a dire che il gran critico, cerca la chiave per intendere il Guerrini questa dev’essere un’usanza ben radicata in lui, perché anche per intendere il D’Annunzio ha bisogno di chiave. Ora, dico io, cos’è questa chiave e che bisogno c’è di questa chiave? Me lo dimostri, il signor Croce, e allora rimarrò soddisfatto; per ora io dico che la chiave del signor Croce non è utile e che se per essa intende il carattere del poeta, l’intendimento dell’arte sua sbaglia dimolto. Sbaglia, perché non vi è bisogno invece di saper nulla sul poeta. Un’opera, quando è bella e grande, deve rimaner sempre quella e il poeta non entra con l’opera sua. Con questi metodi che del resto non sono originali, bisognerebbe ricusare la «Divina Commedia» come un sudiciume qualsiasi, se si venisse a scoprire che Dante era mite. Invece credo opportuno che la critica, non occupandosi di tutto questo, cerchi e trovi il valore intrinseco dell’opera e non un valore di riflessione. Non giunse il De Sanctis a dire che le Grazie sono opera retorica perché contrastano col carattere del poeta? Anzi tutto il carattere di un uomo è la sintesi di tutte le sue azioni, quindi se il Foscolo cantò le Grazie così calmo, così sereno, vuoi dire che aveva nel suo carattere un non so che di quieto. Direte: ma può essere che il Foscolo abbia finto, si sia proposto di far così, e abbia voluto far così e così, quindi ha scritto contro le sue ispirazioni naturali, contro il carattere suo. E codesti sarebbero ragionamenti da povera gente. Se il Foscolo fingeva, vuol dire che nel suo carattere vi era tendenza al falso. Conclusione: qualunque azione dell’ uomo, deriva dal carattere suo. Anche l’uomo che finge agisce secondo il suo carattere che lo consiglia di fingere. Son ragionamenti che vanno fatti avanti di stampare delle corbellerie, egregio signor Benedetto, sono ragionamenti che occorre sappia fare il pubblico, se vuole essere competente a giudicare.
Frattanto il Croce ci ricostruisce lo Stecchetti e per dir vero lo descrive assai bene, o mi è parso, giacché, questa figura di canzonatore, che fra le boccate di fumo, i sorsi del suo buon vino, ricorda le sue battaglie o amorose o polemiche con calma e voluttà, mi piace immensamente. Ricostruisce il suo carattere e cita alcuni versi del Guado, ma per pura citazione che afferma qualche particolarità dei carattere del Guerrini, mentre non nota le bellezze che vi sono: Per esempio quel «ad ogni passo un riso di spavento» è un bel tocco e rappresenta meravigliosamente.
Anche descrive le «diverse corde» della lira del Guerrini e che ce ne importa? Che cosa ha fatto fin qui? Descrivere il carattere, enumerare i generi di poesia. Ma dov’è la critica? Dove biasima il lavoro? Dove lo loda? Dove mette in risalto le bellezze o le bruttezze, i meriti e i demeriti (meglio)? Confronta un canto dello Stecchetti al Primo amore di Leopardi e che ce ne importa? Che fa alla critica dell’ opera stecchettiana il dire: «questa poesia si può paragonare a quest’altra»? Questi son piccoli sfarzi che non contan nulla. Vogliamo la critica, per Dio! ed è quella che manca! Dice che il Canto dell’odio è fittizio da cima a fondo ecc.: ma lo dimostri, lo dimostri, e se pure lo dimostrasse tale (ciò che è impossibile) non sarebbe arrivato a nulla, perché potrebbe esser bello lo stesso.
Io non difendo qui il Canto dell’odio dico che al solito il Croce gli appioppa addosso mille demeriti e non dimostra che son demeriti e che vi sono.
Osserva, alcuni canti, come:
O fiorellin di siepe……
Un organetto suona per la via….
Quando cadran le foglie e tu verrai….
sono canti popolari, e possono esser messi in musica.
Ma questo è uno scherzo ai lettori, che volete, non si può qualificare che come uno scherzo. Noi domandiamo una critica sul Guerrini, ossia un giudizio sul suo valore ed egli dice che questi canti possono esser musicati, son d’indole popolare. Invece di dire che quei versi sono musicabili faceva meglio a notare che questi versi
e molti fior le saran nati a canto.
Son quelli
i versi che pensai ma che non scrissi
le parole d’amor che non ti dissi,
sono bellissimi e racchiudono potenti pensieri poetici, forse i migliori dello Stecchetti. La mente del poeta, vedendo crescere nei camposanti i fiori, dice che sono le parole d’amore non potute esprimere in vita che si presentano in forma di fiore alla fanciulla del povero morto. Qui, l’immaginazione dello Stecchetti, il suo ingegno di poeta, prende forza e s’esplica e le parole non dette ma pensate si tramutano in fiori; egli stesso è divino e fin morto ha il potere di adorar la sua fanciulla; la fanciulla è glorificata come poche giacché fin di sotterra il suo poeta le offre i segni del suo amore immenso trasumanato. Altro che musica, signor Croce, qui lo Stecchetti è poeta grande. È poeta grande, e il vostro D’Annunzio ha voglia d’anfanare e battersi il petto ed urlare evocando tutte l’epoche e le storie: a tal punto non è arrivato mai e non arriverà mai. Ho detto fin qui della falsità della critica di questo gran critico italiano, e sarà bene dire altre cose. E cose che non son davvero meriti del Croce. Infatti la ricostruzione del carattere del poeta attraverso l’opera sua è di una superficialità straordinaria. Conclude che il Guerrini è un goditore un bontempone un canzonatore ecc.; roba che tutti sanno. Non ritrova, come il De Sanctis in Teresa d’Iacopo, Venezia venduta da Napoleone. Dice tutto quello che si sapeva e si sa intorno allo Stecchetti, quindi non è che un critico mediocre. Infatti quella critica non è sua, ma di De Sanctis (dicesi derivata dal Foscolo, ma pure sempre da lui sviluppata magnificamente) dunque oltre l’esser mediocre non è originale. Ancora: il Carducci, poco stimato in generale come critico, ha latto progredire questi studi e di molto e non solo si occupa di impressioni e di effetti, ma giudica anche l’opera direttamente e anche con profondità. Infatti a proposito della Vita Rustica smentendo il giudizio impressionista di Francesco De Sanctis, dice di questo paragone:
«In van con cerchio orribile
quasi campo di biade
i lor palagi attorniano
temute lance e spade:
– Non vide egli la incoerenza della comparazione…. – Vedete? Egli esamina a fondo il paragone del Parini. Come trasformare le spade dei tiranni nelle «biade» tanto utili e tanto miti e tanto belle? E gli esempi abbondano. Dunque il Croce, oltre esser mediocre nel campo che batte e privo di originalità, retrocede nella critica, ritorna al De Sanctis, dopo gli insegnamenti Carducciani. E questo è il suo più grave demerito, questo è la macchia. Tutti non possiamo esser grandi: passi il mediocre. Tutti non possiamo essere novatori o perfezionatori: passi «l’essere non originale.» Ma tutti possiamo, anzi dobbiamo mantenerci all’altezza del tempo. Chi è al disotto di questo non scriva; non solo è inutile sempre, ma può essere talvolta dannoso.
Quindi non resta anche qui che meravigliarsi della fama del signor Croce, o meglio maravigliarsi del pubblico italiano che s’inchina a lui che non meriterebbe che il silenzio. Questo sarà certo l’argomento che molti porteranno ed hanno già portato contro di me: il pubblico dunque non capisce nulla? perché l’innalzamento di questi pigmei?
A questi molti, troppo ingenui, non cattivi né eruditi di certo, a questi ingenui rispondo: Non avete voi mai sentito nominare e non avete mai studiato questi nomi: Preti, Achillini, Zapp., Manfredi, Mazza, Bettinelli?

