DADAISMO / AVANGUARDIE,  F. T. MARINETTI E IL FUTURISMO

Anton Giulio Bragaglia: L’anima del cinema

L’anima del cinema
Anton Giulio Bragaglia

± 2000
Arte – Letteratura – Teatro Futurista
Numero Unico 1932

Infilata la strada dell’intuizione meccanico-poetica dell’arte cinematografica, (gli esteti passatisti dicono il vicolo), tutti i teorici ed i critici del nuovo prodigioso mezzo, sfruttano, su questa considerazione tecnicistica ed insieme elettrizzante, ogni possibile interferenza del cinema con le altre manifestazioni spirituali, con le altre arti; analizzano gli elementi che concorrono a produrre un film; e con varia opportunità, tentano inserire nella discussione, da farsi sopra un terreno assolutamente vergine, argomenti e disquisizioni della vecchia retorica e stilistica dei generi teatrali.

Qui conviene fottersi delle filosofie passate, e rifiutare ogni pasticcio e arrangiamento cogli idoli della consueta teatralità, o della letteratura romanzesca e narrativa in genere; come persino conviene rifugire da speciosi confronti con le arti delle linee e dei colori, essenzialmente statiche.

È stato facile, ma pure balordo spesso, costruire saggi presuntuosi sul pittorismo e la nuova musicalità, o la nuova lirica e potenza evocatrice e narrativa del cinema. Sgombrato ormai il terreno da simili velleità parallelistiche fra le varie arti, in confronto del cinema, sarebbe interessante raccogliere l’attenzione sui caratteri originali di quest’arte, con osservazioni vive, che soltanto uno intelligente e penetrante potrebbe dare.

La magia cinematografica, come appare dalla concreta produzione, e dalla dilagante progettistica del rinnovamento (di cui la necessità è sentita in modo urgente per l’America non meno che per l’Europa) si arricchisce continuamente di incredibili risorse che il laboratorio e l’esperimento scenico, osando sanno produrre. La nostra fantasia!? L’inventiva più felice, in questo campo, è nulla, senza l’accurato esame dei suggerimenti, delle ricche suggestioni poetiche, dico, che provengono dalla semplice natura delle cose.

A tavolino, con il cranio imbottito di teoremi estetici, di teorie artistiche, si può poco per ogni altra arte; per il cinematografo non si può nulla, nemmeno con la fantasia più agguerrita, se non si fanno bene i conti col linguaggio della visione in movimento, quale è realizzabile col concorso dei trucchi ottici fotomeccanici e chimici.

Dunque inutile cercare di prevedere in modo esatto, nel copione o nel libretto del film da creare, quali effetti e risultamenti in definitiva comporranno la proiezione come misura, ritmo, proporzione nel montaggio non solo, ma specialmente come valore visivo dei quadri.

Credo bene che mi si intenda, se parlo contro la letterarietà del soggetto, contro l’apriorismo dei progetti drammatici-narrativi di una vera opera d’arte cinematografica. Tutto sta nella sapiente sceneggiatura, è risaputo. La realizzazione della sceneggiatura è poi quel che più conta. Vediamone finalmente i modi.

Sceneggiatura preventiva d’un film e realizzazione artistica di essa, quanto differiscono?

A seconda dei maestri di scena. Se lo sceneggiatore, che progetta il taglio dei momenti quadri episodi del film, è lo stesso realizzatore del progetto in parola, è chiaro che si potrà essere più o meno felici e spediti nella traduzione visiva del soggetto. Titubanze, impazienze, imprudenza e saggezza, però variano con la varia maestria di Epstein, o di Vertoff, o di Marnau.

Si tratta di vedere presto e bene il «partito fantasmagorico» della rappresentazione ideata; assecondando i caratteri del cine, per una trasfigurazione dinamico-luminosa, efficace dei motivi espressivi.

In qualche modo l’invisibile, l’immateriale della emotività e idealità dell’ispirazione, debbono essere trasfusi nello spettacolo, appunto attraverso il visibile.

E poco male, dicendo spettacolo. Perchè al cinematografo non si è pacifici e disinteressati spettatori, ma veramente partecipi attori, che possono come a teatro distinguere (magari sorridere alla finzione scenica) tra realtà e rappresentazione d’arte: ma mi pare che si viva l’emozione in modo irresistibile, e senza scrupoli.

Senza scrupoli di farsi vedere, o di ridere e piangere a fantasmi? Intendo meglio, senza paura di partecipare vivacemente all’azione; senza ritegni di ordine intellettualistico, dove come troppo spesso a teatro, la ragione raziocinante ci avverte (in modo uggioso e marcato) che non è vero niente di ciò che si vede.

L’auto-inganno del teatrale, qui cede il posto ad un realismo impressionante; ma badiamo, non che la fotografia riproduca matematicamente il vero, come ancora credono i più: anzi; ho avuto occasione di scriverlo; questa nuova realtà che il cinema ci mette sotto gli occhi, è tutta spirituale, e il suo valore di sopposta verità, dev’essere invece, bellezza.

Venendo perciò ai modi attuali di realizzazione della magia cinematografica, dirò che il calcolo prudente, si sposa volentieri alla ricerca di imprevisti. E che l’arte va a braccio con la scienza, e se piace con la natura.

Naturam sequamur ducem. Beninteso che si deve avere pure una certa sensibilità svegliata e pronta, per cogliere un effetto d’arte non solo da procedimenti e meccanismi nuovi, ma persino di errori. Come fu il mio fotodinamismo.

In un dato momento si dimentichi pure questo tecnicismo, questa consapevolezza di effetti ottici meccanici fisici e chimici? Anche il pittore, che giuocasse troppo davvicino col principio di illusioni di piane masse e profondità, finirebbe col diventare un trucchista ed un ciarlatano ammantato di scienza. Così pure se indugiasse troppo a catalogare naturalisticamente le forme della realtà esterna. Qui coincidono le due trasfigurazioni. Nel principio del trasfigurare. Non oltre.

Il trasfiguramento luminoso e dinamico, chiaroscurale e ritmico nella durata e successione del tempo e delle immagini, questo alto lavorio di sopravalutazione delle mere apparenze sensibili obbiettive, è l’inizio della sapienza artistica per il cinematografo.

Un espressionistico problema vi si congiunge, dirò subito, spontaneamente. E il significato della vantata traduzione dell’idea invisibile, nel fantasma visivo? Quando un’alta vibrazione lirica presieda alla composizione del film; tutto l’insieme o ogni dettaglio dell’opera d’arte (costruita evidentemente volta a volta, quasi strada facendo, con ispirazioni molteplici e momentanee) dovrà informarsi a quel lirismo.

La potenza d’espressione nel cinema, ne dipende,

Effetti e valori visivi concorreranno, con la trasformazione degli assetti oggettivi delle cose, a creare composizione espressiva totale.

Tale composizione (che la cine-foto-tecnica realizza di fatto), in qualche misura, prima o poi, è nella fantasia del direttore di scena, come frutto di lunghi accomodamenti, di prove e riprove. Ebbene, nessuno ci impedisce di parlarne, coll’avvertenza, di saper poi disfarcene quando non valga al caso concreto di nuove produzioni.

Minaccia di retoricismo? niente paura: potremmo bensì fare un catalogo dei procedimenti espressivi del cine finora escogitati ed attuati; lo risparmiamo al lettore, attenendoci a considerazioni sommarie e a generalità spicciole di quel che un film può dire con la luce e il movimento.

Può dire con i suoi vari elementi figurativi nel ritmo delle più impensate inquadrature, mille trapassi di sentimento e di passione, in modo più che logico, lirico, più che novellistico, epico. Il sublime delle vicende patetiche, intrise di umanità e conformate a una poetica concezione della vita, s’estrinseca non più prevalendo nell’azione, nella manifestazione mimica dei sentimenti, ma sovranamente emerge dal contesto delle imagini totali, dal loro clima chiaroscurale, dalla intonazione monocromatica e pur così ricco di tutte le infinite luci espressive.

Meglio che a teatro, la magia delle illuminazioni, creando svariatamente le situazioni vere (e non quelle meramente soggettistiche letterarie) e le grandi atmosfere psicologiche, che regolano e ritmano la vita delle rappresentazioni sullo schermo, è ben essa in primissimo luogo che dà valore alle più nobili intenzioni artistiche.

Invece di affidare i temi di orchestrare nella duplice ritmica del film al movimento degli attori, all’azione misurata e sfrenata, marionettistica o improvvisatrice di una tradizione teatrale ormai vissuta, è bene tenere presenti i pregi e i risultati attualmente già cospicui della inscenatura, dell’inquadramento naturale e fantastico. Non per vanità scenografica, ma per la ragione santissima che l’ambientazione per il cinema è spesso argomento, per se stante sufficientissimo; non è incorniciatura d’azione non inquadratura, purchessia, di salti e sgambetti di mimi ed istrioni, ma vale per conto suo tutta la nostra simpatia ed ammirazione, realizzando spesso un’opera d’arte indipendente.

La trasfigurazione dinamico luminosa del paesaggio all’aperto, vi è meglio possibile che non sia nel teatro in piena aria.

Panorami dall’alto, vedute dal basso, inquadrature d’ogni fantasia, prospettive e lontananze, accanto ai primi piani e particolari curiosi ed ornamentali della natura esteriore, se bene lavorati dal giuoco delle luci, con qualunque artificio tecnico possibile, e utilizzando le risorse dell’obiettivo e la luce solare ed altro, tutta questa manna è raccolta, intelligente, svelta, scelta dai medesimi cineasti.

È nostro convincimento, che solo ad un patto questo mondo inesauribile di immagini, dal «documentario», al delirio delle invenzioni più originali, costituisce per l’artista un linguaggio ricchissimo di modi d’espressione. Non certamente a che veda questo mondo esterno come documento!

Mediante le risorse tecniche della fotografia in movimento, riplasmeremo il mondo esteriore; ne trarremo il più irreale e folle realismo, faremo una sorta di documentario così poco meccanico e oggettivo, da giustificare finalmente la volontà artistica dal potente mezzo d’espressione.

Anton Giulio Bragaglia: scheda bio-bibliografica su Enciclopedia italiana

Copia in pdf del volume completo

Immagine di apertura da picryl.com