CRISI POLITICA,  D'ANNUNZIO E FIUMANESIMO,  INTERCULTURALITÀ,  PRIMA GUERRA MONDIALE

Alceste de Ambris: Non è mai tardi per andare più oltre (1920)

Alceste de Ambris
“Non è mai tardi per andar più oltre”

La Testa di Ferro
Libera voce dei Legionarii di Fiume
(Discorso tenuto dall’on. Alceste de Ambris ai fiumani, l’11 gennaio 1920)

Politica fiumana

Quella che noi chiamiamo “politica fiumana” non consiste soltanto, oggi, nell’alleviare la disoccupazione, nel risolvere la questione della valuta, nel restituire alla norma la vita economica della città. Tutti questi problemi devono essere, e sono, oggetto delle cure più assidue degli Amministratori e del Comando di Fiume; ma non costituiscono la particolare ed originale attività di cui io voglio parlarvi.

La politica fiumana non si limita ad assicurare l’Olocausta all’Italia coll’annessione. I nostri orizzonti si sono allargati. Il nostro respiro si fa ogni giorno più ampio. Fiume oggi non significa più soltanto un lembo di terra che vuol ricongiungersi alla Madre Patria. Fiume oggi significa nel mondo un’idea e una fiaccola: il punto di convergenza d’infinite speranze, il centro d’irradiazione di un movimento grandioso di liberazione.

In questa città che la plutocrazia internazionale voleva fare schiava dei propri interessi usurari, noi gettiamo il grido di libertà a tutti gli oppressi del mondo. Quale splendida vendetta! La nostra stessa piccolezza ci protegge e ci rende fortissimi, onde possiamo gridare quello che i popoli i quali si contano a decine di milioni non osano neppur sussurrare. Riprendiamo l’idea originaria che scagliò l’Italia in guerra, ed i saccomanni che s’adunano sui campi di battaglia per convertire in moneta le ossa dei nostri morti, ripetiamo fermamente che non abbiamo combattuto il militarismo tedesco per lasciarci mettere intorno al collo il capestro di Shylock. La spada dei due kaiser non fu spezzata a Vittorio Veneto per accettare la dura tirannia del dollaro e della sterlina.

Noi e gli altri

Senza superbia e senza umiltà noi guardiamo ognuno negli occhi. Ricordiamo alla Francia che dal ’70 al 1914, da Digione alle Argonne gli italiani accorsero volontari in sua difesa, che senza la nostra neutralità la Marna sarebbe stata varcata, che senza Gorizia la difesa di Verdun non avrebbe potuto segnare una vittoria francese, che sul Piave fu salvata per la seconda volta Parigi, che l’armistizio germanico dell’11 novembre 1918 fu dettato alcuni giorni prima a Vittorio Veneto.

Ricordiamo all’Inghilterra che noi, sebbene strozzati da Suez e da Gibilterra, non abbiamo voluto strozzar nessuno quando il nostro atteggiamento poteva decidere delle sorti dell’Inghilterra e del mondo.

Ricordiamo all’America che se giacciono sessantamila americani sotto le zolle francesi, cinquecentomila italiani dormono nei cimiteri dell’Isonzo, del Carso, degli Altipiani, del Grappa e del Piave, ad affermare per l’Italia un ben più alto diritto di disporre – se non delle sorti altrui – almeno delle proprie.

Ma poiché il ricordo e la prova sanguinosa sembra che non bastino più a garantirci questo diritto, noi ci volgiamo a tutti coloro che ci sono fratelli nel dolore e nella povertà e ad essi tendiamo la mano, agitando questa fiaccola che ha nome Fiume.

In ogni parte del mondo vi sono delle vittime della stessa tirannide: Ve ne sono nell’occidente, dove il Belgio viene compensato del duro sacrifizio costringendolo a consegnarsi mani e piedi legati all’Inghilterra che vuol farne un vassallo economico e un presidio militare, e dove l’Irlanda divampa in un grande incendio rivoluzionario. Ve ne sono in Oriente dove quasi tutti i popoli sentono la stretta della rapina britannica. Ve ne sono in Africa dove l’Egitto e il Sudan levano l’insegna della più vasta rivolta. Ve ne sono in America, dove le repubbliche latine – dal Messico alla Terra del Fuoco – sentono pesare come un incubo la minaccia soffocatrice del monroismo tradotto ad uso dei mercanti e dei banchieri anglo-sassoni nella formula dell’imperialismo mercantile: «l’America agli americani… del nord». Ve ne sono in tutti i continenti e in tutti i mari e in tutti gli arcipelaghi.

Con tutti gli oppressi

Forze immense, ma sparse e divise. Chi le redimerà? Ebbene, cittadini e legionari, qui Roma riprende la sua grande missioni! Qui sulle rive del Quarnaro, poiché qui s’affissano gli sguardi e le speranze di tutti gli oppressi, e di qui noi vogliamo sforzare l’Italia a mettersi a capo di tutte le nazioni povere e sfruttate.

Di tutte, ripetiamo! La nostra mano amica si deve stendere senza eccezione a quanti, come noi, rivendicano il diritto di dettare a se stessi le norme della vita collettiva per libera elezione. E come salutiamo fratelli gli irlandesi, gli egiziani e gli hindù, dichiariamo di voler riconoscere tutti i governi di fatto esistenti in Russia, quando non siano le bande di avventurieri al servizio del capitalismo occidentale capitanate dai Kolciak e dai Denikin. Io mi rendo conto che posso scandalizzare qualche anima timorata prospettando, nella mia qualità di Capo di Gabinetto del Comando di Fiume, la convenienza di riconoscere anche la repubblica dei Soviet. Eppure io non sono bolscevico: Chi mi conosce sa che in Italia ho condotto un’aspra lotta contro i bolscevichi nostrani; ma non vedo come un popolo che reclama giustamente il diritto di disporre di se stesso, come fa il popolo fiumano, possa praticamente negare al popolo russo il diritto di scegliersi quel regime che meglio gli conviene, anche se non piace a noi.

A questo proposito voglio essere assolutamente sincero: È stato a lungo ripetuto – e noi avevamo finito col crederlo – che la Repubblica dei Soviet fosse un’effimera imposizione di violenza; ma il fatto che da oltre due anni vive e si rafforza ci rende ormai dubitosi. Del resto un movimento come quello della Rivoluzione russa non si arresta e non si tronca con i consueti mezzi della politica. Bisogna piuttosto esaminarlo con occhio spregiudicato e trarne tutti gli insegnamenti che la sua vittoria od il suo crollo possono suggerirci per farne nostro pro! E frattanto lasciamo che si sviluppi, se pure vogliamo serbarcene immuni.

Quanto alla necessità ed all’utilità di riprendere con la Russia le relazioni economiche, io voglio rassicurare le anime timorate, citando un articolo di Georges Favier, pubblicato nel «Journal» di Parigi del 28 dicembre scorso. Il Favier è un perfetto conservatore come il foglio che ha ospitato la sua prosa; ma questo non gli vieta di riconoscere che – data la situazione cambiaria della Francia – questa ha tutta la convenienza a cercare in Russia il grano e le materie prime di cui ha bisogno. Quel ch’è vero per la Francia non è forse più vero ancora per l’Italia e per Fiume, che hanno la moneta ancor meno quotata della moneta francese?

Ragioni economiche

Non lasciamoci dunque ipnotizzare da preconcetti e da fobie: pensiamo e proclamiamo con le certezza di esprimere una verità piena, che bisogna chiamare a raccolta «tutti» i popoli che sentono l’ingiustizia della pace di Versaglia ed il rancore per la crudele delusione patita, per volgerne le forze contro i falsi monetari della plutocrazia occidentale.

Non esiste soltanto la fatalità di una lotta fra le classi sociali che producono nella miseria e quelle che consumano nella ricchezza: un’uguale fatalità esiste anche fra le nazioni povere e le nazioni ricche; fra le nazioni che s’impinguarono di preda e quelle che furono e sono continuamente depredate.

Noi sappiamo che non vi potrà essere vera libertà per le nazioni, né pace vera e duratura nel mondo, finché le materie prime necessarie allo sviluppo economico normale e legittimo di ciascun paese resteranno monopolio di alcune potenze che sono per ciò stesso pur sempre in grado di dettare la loro volontà ai popoli che ne sono sprovvisti. Finché il ferro, il carbone, il cotone, il grano saranno esclusivo patrimonio di chi ebbe la fortuna di trovarli sulla propria terra, come l’America, o di accaparrarseli con la conquista violenta e con le arti fraudolente della diplomazia, come l’Inghilterra, i paesi che non posseggono quella fortuna o non si dedicano a quella conquista – e l’Italia è fra questi – si troveranno sempre in condizione d’ingiusta inferiorità economica e per conseguenza di vassallaggio politico.

Ciò non interessa soltanto la Nazione come entità collettiva, o le classi dirigenti della Nazione. Il proletariato pure deve persuadersi che se l’operaio inglese e nord-americano sono in grado di vivere come non vive certamente un operaio italiano, e neppure un italiano della media borghesia, non è già perché l’operaio inglese o nord-americano siano più laboriosi, intelligenti e capaci dell’operaio italiano, ma perché si trovano in condizioni di privilegio, potendo spartire col capitalismo dei loro paesi un più lauto beneficio ricavato sfruttando i paesi economicamente poveri o fatti loro preda per diritto di conquista. Se l’internazionalismo operaio non vuol essere una grande illusione ed una solenne menzogna, è indispensabile che si fondi sulla reale uguaglianza economica dei popoli, nel senso che tutti i paesi abbiano in ugual misura a disposizione le materie prime occorrenti per lo sviluppo industriale di cui sono capaci ed ugualmente liberi i mercati di consumo dei prodotti.

Fino a quel momento è fatale che una medesima necessità sia sentita da tutte le classi dei paesi poveri e sfruttati: Il principe indiano sente gli effetti dell’oppressione inglese, in forma diversa e in diverso grado, ma non meno duramente del paria. Il ricco mercante di Dublino prova gli effetti della secolare spogliazione di cui è vittima l’Irlanda come il miserabile fittavolo delle campagne dell’Isola Verde. Il pascià egiziano ha necessariamente gli stessi impeti di rivolta del fellah che vegeta sulle rive del Nilo. Ebbene, quella solidarietà che avvince malgrado tutto le classi e gli uomini dei paesi fatti preda dell’imperialismo plutocratico che allarga il suo dominio nel mondo, deve estendersi anche ai rapporti fra quegli stessi paesi. Bisogna formare la lega delle nazioni proletarie contro il trust di banchieri e di mercanti strozzini che usurpa e disonora il nome di Società delle Nazioni.

Idealismo e pratica

Idealismo? Certo. non si muove il mondo senza una grande forza ideale. Ma questo idealismo coincide con gli interessi positivi nostri e risponde al disegno di una vasta politica veramente e degnamente italiana. L’Italia ha bisogno d’inorientarsi per sfuggire allo strozzinaggio delle nazioni plutocratiche occidentali, che la ricattano per essere esse in possesso delle materie prime di cui il nostro paese ha bisogno. La porta dell’Oriente per l’Italia, è Fiume. Di qui essa potrà riprendere la tradizione della Serenissima e recare ai popoli il segno di una rinnovata civiltà, non coll’armi e il sopruso, ma coi traffici.

Questo aveva divinato Mazzini e questo sanno i plutocrati occidentali. Perciò negano l’Adriatico all’Italia, negano Fiume e cercano di alimentare ogni discordia fra noi e i popoli balcanici, come fino a ieri alimentarono ogni discordia fra i popoli balcanici stessi.

Noi vogliamo difendere il nostro accesso all’Oriente per compiere la nostra missione nazionale. I vicini finiranno col comprenderlo. Anzi, cominciano già a comprenderlo. Pei lontani sarà più facile, poiché non vi sono contrasti, neppure superficiali ed apparenti, d’interessi.

Questa è la politica fiumana che vogliamo bandire nel mondo perché diventi politica italiana. Ci hanno accusato di essere dei militaristi, degli imperialisti, dei reazionari. Ecco dunque il nostro militarismo, ecco il nostro imperialismo, ecco il nostro reazionarismo: un’idea di liberazione universale dall’usura delle nazioni ricche.

Fiumani! Legionari! Io voglio ripetere a quanti fra voi intendono e sentono con un fremito d’orgoglio la grandezza della missione che la storia oggi assegna a Fiume come premio divino del suo lingo martirio la parola di fede che già ad altri fratelli dissi, nell’America lontana, quando – or è un anno – andai laggiù a portare l’eco della vittoria nostra.

O voi della gran razza mediterranea che per prima diede al mondo i segni del diritto e della bellezza, fin dove la spada corta del legionario di Roma aprì il cammino alla civiltà; o voi, figli degli scopritori dei nuovi mondi e delle eterne leggi della natura; o voi, della terra feconda di artisti e di pensatori, che portate attraverso tutti i mari e tutti i continenti la forza benefica delle vostre braccia; o voi, costruttori di ferrovie, perforatori di montagne, tagliatori d’isti, colonizzatori di terre deserte, artieri e mercanti italiani: Alzate finalmente le fronti troppo a lungo curvate sul duro infaticato lavoro e qualche volta anche sotto le ingiuste umiliazioni. La lunga notte è finita e l’aurora illumina tutto l’orizzonte d’un rosso bagliore. Comincia pel popolo nostro un’éra nuova. Alzate le fronti col nobile orgoglio di sentirvi italiani!

E nella fiera coscienza di poter dare al mondo un raggio di verità e di giustizia, sia vostro, o fiumani, sia vostro, o legionari, il motto del nostro nobilissimo poeta e condottiero: «Non è mai tardi per andar più oltre!».